Scherza coi i fanti ma lascia stare i santi…. direbbe mia nonna… ma la voglia di scrivere questo post era davvero tanta 🙂
Oggi dopo circa 20 anni ho partecipato ad una messa (esclusi nel frattempo matrimoni e funerali, s’intende). La classica messa domenicale, insomma… nessuna crisi mistica, nessun evento particolare. Se non il fatto che mio figlio ha iniziato il catechismo e ci è stato chiesto di partecipare (………….). E quindi si va nella piccola chiesa dove l’erede frequenta anche per conoscere questa nuova realtà [ndr: per considerazioni di carattere religioso, teologico e di motivazioni su questa mia lunga assenza dalla messa, rivolgetevi al mio indirizzo privato che troverete nella pagina “Chi sono”; in questo post si parla unicamente di vino.].
Nei centri come il mio, i preti sono pochi e le chiese sparse nelle varie frazioni tante: quindi i preti iniziano a celebrare la messa alle 8 in una chiesa, poi alle 9 si spostano in un’altra e così via, fino alla canonica messa delle 11 (in ogni caso sembra che il Diritto Canonico affermi che non è possibile celebrare più di 3 messe). Il prete che celebra è il classico “don” di campagna, anziano, che gira con una scassatissima Panda 750. E quando stamani alle 10.58 è arrivato alla chiesa ho notato, oltre al suo essere trafelato, anche l’aria un po’ rubizza. Classica liturgia e nel momento dell’Eucarestia, forse il momento più significativo dell’intera funzione, la mia devianza per il mondo del vino ha preso il sopravvento.
Che vino beve il prete durate la messa?
Stasera ho provato a documentarmi su Internet, per vedere se ci sono notizie in merito, ma le informazioni ricavate sono davvero poche. Il Messale, ossia, quella struttura di regole e convenzioni che compongono l’intero funzionamento della celebrazione non viene certamente in aiuto. Ecco gli unici passi significativi che ho trovato:
322. Il vino per la celebrazione eucaristica deve essere tratto dal frutto della vite (Cf. Lc 22,18), naturale e genuino, cioè non misto a sostanze estranee.
323. Con la massima cura si conservino in perfetto stato il pane e il vino destinati all’Eucaristia; si badi cioè che il vino non diventi aceto e che il pane non si guasti o diventi troppo duro, così che solo con difficoltà si possa spezzare.
Ok, benissimo. Ma che vino deve essere? Il Diritto Canonico non lo chiarisce. Visto che c’è il collegamento tra il sangue ed il vino mi aspetterei che sia quindi vino rosso (ed in origine era così). Poi, sembrerebbe, che il Sinodo del 1565 stabilì l’utilizzo del vino bianco perchè “macchiava meno”. In ogni caso il vino prodotto è sottoposto a rigidi controlli da parte delle autorità ecclesiastiche.
Quello che so per certo è che in piemontese “‘l vin del prejve” (“il vino del prete“) è un passito (da queste parti l’Erbaluce di Caluso Passito) oppure un Moscato o un Marsala (su internet troverete diverse fonti). E sempre in piemontese, sempre quell’espressione” ‘l vin del prejve” aveva anche preso il significato più esteso di vino buono e di qualità.
E penso che un fondo di verità, questo modo di intendere la faccenda, ce l’abbia, proprio perchè ho visto il prete bere con gusto il vino e mi è venuto da pensare che quel vino fosse davvero interessante e buono. Secondo voi è possibile andare a spiare il contenuto del calice del prete?!?! 🙂
Oppure qualcuno mi sa dare qualche spiegazione migliore?
Ciao, a dire il vero questa è una curiosità che ho avuto sempre anche io. In realtà in cantina ho una bottiglia sulla cui etichetta è scritto ” Vino della Santa Messa”, magari un giorno l’aprirò…ha già un bel po’ di anni!
Ricordo che tempo fa ero capitato sul sito di una cantina del centro italia che dichiarava di essere fornitore di “Vino da Messa” con tanto di certificati della Santa Sede: non l’ho salvato nei preferiti ( !) e non riesco a risalire al nome.
In compenso questo articolo qualche cosa racconta 🙂
http://archiviostorico.corriere.it/1993/agosto/26/cambiamo_vino_messa_sincerum_cattivo_co_0_9308266095.shtml
La cantina del centro Italia l’ho trovata anche io (e non l’ho citata apposta)… molto interessante l’articolo che citi… fa capire un sacco di cose 🙁
Ciao, io mi sono sposata in una piccola chiesa di una frazione, che non viene quasi mai usata, quindi mancava tutto e al prete che ha celebrato (un giovane amico colombiano) ho portato io una bottiglia di passito di moscato….. ma quella mattina ci siamo trovati con il vino, ma senza le ostie… che corsa a recuperarle nella chiesa grande del paese!!!!!!!!!
Bello questo racconto… e sopratutto divertente… grazie Federica :-))
Ne ho rubati parecchi sorsi da bambino nella sacrestia di una chiesa di un minuscolo paesino lombardo. E mica da solo : lo facevano a turno quasi tutti i chierichetti che si trovavano “dietro le quinte” durante lo svolgimento di una funzione. Era un atto di “ribellione” molto liberatorio, nel contesto di un microcosmo estremamente opprimente dove le figure del prete, della chiesa e della religione assumevano un ruolo preponderante. A ripensarci oggi sono praticamente certo che fosse moscato (fermo) ma non passito perchè mi avrebbe fatto girare la testa all’istante. Non credo che il prete si sia mai reso conto di quello stillicidio quotidiano… ci avrebbe mollato qualche ceffone extra che mi sarei ricordato.
Bella questa tua testimonianza e reminiscenza infantile. Io non ho mai fatto il chierichetto e quindi non posso condividere questa tua espererienza. Vedo però che fin da bambino avevi una buona predisposizione 🙂 Moscato? Ci sta tutto, è uno dei vini ammessi dal Concilio e dal Messale… ma sto sentendo tante altre versioni che vanno al di là dei dettami… il più significativo è di un prete che celebra solo con Barbaresco (non posso confermare, ovviamente, ma la fonte mi è parsa attendibile) 😉
Qualche giorno di pazienza e riuscirò a parlare con un giovane *prete non convenzionale* amante del buon vino: sono certo che i suoi racconti saranno per noi interessanti 🙂
Non vorrei sbagliarmi ma il prete del mio paesino usava il Marsala…
Sull’argomento il diritto canonico dice, come già da te rilevato, che il vino deve essere ‘naturale’ e de genimine vitis et non corruptum, cioè deve provenire da uva matura e non dev’essere inacidito. L’adulterazione o l’aggiunta di sostanze pur lecite per le leggi dello Stato, rendono il vino materia non valida, cioè illecita, per celebrare la Messa. Al di là di quello che scrive il Diritto canonico sembrerebbe esistere anche un protocollo di produzione di cui però non conosco ancora i contenuti. Indagherò.
Vi segnalo anche un mio post sull’argomento: http://impresavda.blogspot.com/2010/04/vino-da-messa-di-montagna.html
@Giuliano: non vedo l’ora 🙂
@Alessandro: non sei il primo che mi conferma il marsala…
@Fabrizio Favre: il protocollo di produzione è molto rigido. Per certo ti so dire che uno dei vini ammessi è di una vigna gestita da monache in Piemonte (a Santo Stefano Belbo se non ricordo male). Poi c’è un produttore siciliano ed uno toscano. Ma sono tutte fonti da verificare. Il tuo post lo ricordavo (come le seguenti polemiche): interessante sapere che anche la VdA si sia mossa in questa direzione. E guarda caso dietro tutto cio c’è un certo Gianluca Telloli… un ragazzo davvero in gamba… 🙂
Le indicazioni dell’Ordinamento Generale del Messale Romano alle quali fai riferimento sono quelle più importanti.
Non c’è documento più attendibile di questo in merito alle indicazioni delle ‘cose necessarie per la celebrazione della Messa’.
La semplicità delle poche cose richieste veicolano il significato del segno del vino e i valori che racchiude:
il banchetto eucaristico fa memoria dell’ultima cena del Signore e del suo discorso di addio (vedi cap. 13-18 del vangelo di Giovanni);
in esso ricorre la simbologia della vite (frutto della vite come da art. 322) come legame naturale e genuino (quindi, che fa parte dell’ordine naturale della Creazione, buono come Dio l’ha concepito) tra il Padre, Gesù e i suoi; un legame che non si corrompe (riferimento all’aceto, art. 323) e che richiede un’offerta di sé, per amore dell’altro, totale (fino al dono della vita).
Non veicolando nessuno aspetto essenziale del segno, tutte le altre possibili caratteristiche (tipo di vitigno, rosso o bianco, dolce o secco…), nel contesto della celebrazione eucaristica, non sono significative.
Dirò di più: la semplicità stessa delle indicazioni in merito al segno è, di per se stessa, un segno.
Bel post, Fabri! Non ho dubbi, da queste parti un Recioto di Soave “casalin”, oppure, poco più in là un Vin santo di Gambellara (Vi) o di Brognoligo (Vr)!
da quello che ne so, molti bevono moscato di pantelleria, nella zona di canelli ci sono suore che fanno solo moscato da messa, comunque ci sono cantine selezionate apposta per fare vino da messa.
Arrivo un po’ in ritardo, ma che vuoi fare… giorni così. Volevo solo aggiungere che nel nostro Piemonte (ma non solo qui, credo) molte parrocchie erano (o sono?) proprietarie di vigneti. Dai quali trarre direttamente il necessario per la celebrazione eucaristica… mentre le ostie solitamente sono prodotte da ordini claustrali di monache. Qualcuno di questi vigneti è diventato famoso, anche se nel tempo il legame con la parrocchia si è un po’ sbiadito ed è rimasto nel nome (la cantina del parroco di Neive…). Personalmente ricordo con affetto i racconti delle vacanze estive di mia madre dallo zio parroco a Moncucco, nel dopoguerra apprezzato viticultore (!) di freisa e malvasia.
Da ragazzino sono stato ospite di diversi collegi di solito gestiti da salesiani.
Da quel che ricordo, il vino da messa e semplicemente spremuta d’uva fermentata. Il liquido non deve essere sottoposto ad alcun trattamento conservativo e non deve essere aggiunta alcuna sostanza estranea. E’ quindi un vino molto delicato e facilmente si trasforma in aceto. Va custodito con molta cura in ambiente fresco, al buio e lontano da rumori ( questi elementi accelerano il processo di trasformazione in aceto ). Di solito i preti si riforniscono da piccoli produttori locali ( anche per evitare lunghi trasporti ) di fiducia consolidata. Quindi ad Avola si userà l’Avola, a Caltanissetta il Corvo, ecc. a Milano il Barbera o il Pinot. Di solito viene consegnato in piccole botti o in bottiglia, ma l’importante è che il contenitore sia pieno al massimo per ridurre il contatto con l’aria e per evitare che il vino “sguazzi” durante il trasporto. Alcuni vini naturali sono talmente delicati che un trasporto improprio di poche ore lo trasformerebbero in aceto. Questo è quel che ricordo…ma non potrei giurare che tutto sia vero, son passati troppi anni :)))))))
Grazie Antonio per questo ricordo. Interessanti osservazioni, da approfondire 🙂
Saluti.
Faber