Bottiglia donatami da Tirebouchon
Parlare bene di Cascina Tavijn e di Nadia Verrua è un po’ come sparare sulla Croce Rossa.
Fin troppo facile.
Nel mio caso penso che Cascina Tavijn e Nadia sono stati un incontro assolutamente fortunato e foriero di grandi risultati.
A livello umano innanzitutto, perchè ebbi a che fare, e continuo ad avere a che fare, con una persona vera e genuina.
E a seguire a livello enoico.
Come nel caso di #grignolino1 (lo so, appartiene alla notte dei tempi, ma mi piace ricordarlo).
Nadia fu una delle sostenitrici più forti, assieme ad Alessandro Durando. E grazie a loro fu possibile quella giornata.
Quindi, detto questo, mi rendo conto che affermare che i vini di Nadia sono buoni, buonissimi, eccezzionalissimi potrebbe suonare stonato. O, almeno, troppo di parte.
Diciamo che questa boccia di vino a base barbera, mosso, rifermentato è sicuramente un vino “glu-glu”.
Ma è altrettanto certo che la perfezione stilistica non risiede qui.
Profumi abbastanza ostici almeno in fase iniziale, prende punti sulla beva.
Diventando appunto “glu-glu”.
Ma cosa è che fa diventare un vino potenzialmente dubbioso al naso un qualcosa di beverino e piacevole a livello quasi oggettivo?
Quale è il confine tra prefezione stilistica e bevibilità?
Quale è il limite tra piacevolezza oggettiva e piacevolezza soggettiva?
Non so dare una risposta a questi quesiti.
Me la potrei cavare parlando di emozione, ritorno alle origini.
Ma sarebbe riduttivo.
Ma forse non mi importa neppure dare una risposta, qui ed ora.
Rilevo solo che Nadia è una vignaiola in gamba, una persona vera e i suoi vini rispecchiano ciò che è lei.
E forse questo vino più di tutti gli altri.
Mi concedo un ricordo personale per fare un parallelo.
La prima volta che incontrai Nadia ero con colui che mi regalò quest bottiglia.
Ricordo i suoi silenzi, il suo osservare tacita e attenta i nostri gesti.
Un ascolto silente delle nostre parole.
E poi parlò, cambiando con poche e semplici parole la nostra visione.
Ecco.
Semplicità, concretezza e profondità.
Un vino che esprime in tutto e per tutto la personalità di colei che lo “crea”.
Direte che così è troppo facile.
Ma è la verità.
Conoscere e assaggiare per credere.
Ciao Enofaber, il lato oscuro della Forza ti possieda! È la prima cosa che ho letto stamattina questo post e sono convinto che mi sei entrato nel cervello e me l’hai rubato! A parte gli scherzi, ho conosciuto Nadia la settimana scorsa ed è difficile non subirne il fascino, proprio per la schiettezza che le è propria. E l’umiltà. L’ho vista ascoltare con calma un paio di pseudo esperti che si pavoneggiavano parlando di Grignolino e con il suo, no SO2, nel bicchiere; e lei non ha battuto ciglio, ha dato loro corda e ha ascoltato.
Come ha ricordato un lettore del blog di Luigi, ci sono alcuni sentori/odori di ridotto che, al contatto con l’aria, detonano in un effluvio di piacevolezza. Non stento a credere che sia questo il caso, vista la rifermentazione, il tappo a corona e la giovinezza del vino e il carattere non interventista di Nadia.
Corro subito a comprarne una bottiglia!
Buona giornata.
Niccolò
Leggevo e ne ho parlato con Vittorio e Niccolò della proposta di Carcano di “degustare con la bocca” più che con l’olfatto sopratutto per i vini artigianali.
Perchè come è successo a te con Nadia a me è successo con un Barbacarlo bevibilissimo ma con profumi non proprio da paletta standard.
Lo stesso concetto lo leggevo almeno dodici anni fa in una intervista ad un produttore Borgognone.
Questi vini pongono i probemi che tu sollevi:
“Quale è il confine tra prefezione stilistica e bevibilità?
Quale è il limite tra piacevolezza oggettiva e piacevolezza soggettiva?”
Chi lo sa?
Io diffiderei da chi è convinto di saperlo.
Ho ricordi splendidi di Nadia Verrua che considero una delle migliori produttrici di vino in Europa, sia per il suo sincero attaccamento ai principi di viticoltura biologica vista come rispetto della terra su cui vive, sia per il suo umile ma grande rispetto di quello che l’uva può dare senza forzare la mano, senza quell’eccessivo interventismo che purtroppo ha dominato la scena enologica mondiale degli ultimi trent’anni. Il suo Ruchè 2011 è diverso dal 2010, questo è un miracolo in un mondo in cui tutto deve essere uguale, ed è la forza dei vini di Nadia, genuini, veri, mai uguali, sempre con una loro individualità che si può più o meno amare, ma che è meravigliosa.
Vorrei accennare qui anche ai genitori di Nadia convinti assertori dei principi bio nella coltivazione della vigna, a conferma che il rispetto della natura e della terra non è una scoperta recente.
E dove questo vino biologico rosso?